Per capire la portata di ciò che si sta verificando in questi giorni nel panorama politico e istituzionale occorre partire dalla scorsa primavera. Un Parlamento fragile, spaccato in tre anime (Pd,Pdl e 5Stelle) deve indicare il Presidente della Repubblica.
Dopo il clamoroso autogol del Partito Democratico sulla candidatura di Romani Prodi, emerge l’unica figura in grado di raccogliere l’eredità di Giorgio Napolitano: Napolitano stesso. Con straordinario spirito di sacrificio e senso di responsabilità, il Presidente, che più volte aveva chiarito di non considerare una sua riconferma, accetta di restare al Quirinale.
Ricordo il clima surreale del Parlamento durante la cerimonia; il discorso commosso e deciso di Napolitano; il suo monito a rompere lo schema di“assurdità” – parole del Presidente – che ostacola la strada delle riforme indispensabili per il Paese, fra cui la legge elettorale.
Una sfida a tutti i Partiti.
L’applauso di Montecitorio decretò un impegno; un patto, non senza condizioni, tra il Presidente della Repubblica e le forze che avrebbero in seguito costituito il nascituro Governo. Curioso, quasi grottesco, in quel 22 aprile, vedere Berlusconi che si fa largo tra la folla per essere il primo a stringere la mano al Capo dello Stato. Lo stesso Berlusconi che oggi ha preso in ostaggio Parlamento e Consiglio dei Ministri, ricattando il Paese allo scopo di evitare ciò che in realtà è già assodato: la sua inagibilità politica. Un epilogo che, ancor prima della Giunta per le elezioni, sarebbe stato automatico in qualsiasi altro Paese democratico, dove un politico condannato in ultimo grado di giudizio si sarebbe già dimesso da tempo.
Personalmente mi sarebbe piaciuto “battere Berlusconi” sul piano politico, ma non sarà certo il Pd a sostenere che le sentenze non vanno applicate. Con l’ultimo video messaggio, Silvio Berlusconi, dopo aver denunciato con sdegno che “in Italia la Magistratura è un potere dello Stato” (ignorando la stessa Costituzione), aveva confermato il sostegno al Governo, presentandosi come “primo sponsor” delle larghe intese.
Oggi, in un capolavoro di incoerenza, rischia di far pagare agli italiani la stessa Imu che con tanta protervia aveva preteso di abolire. Per non parlare dell’aumento dell’Iva. Ogni limite è stato passato, ma proprio in virtù di questo si è aperto un forte dibattito interno al centrodestra, che potrebbe portare i “veri” moderati a smarcarsi dagli estremismi e consentire a Governo e Parlamento di proseguire le riforme, votare la legge di stabilità e, soprattutto, cambiare la legge elettorale prima di tornare alle urne.
Solo così potremo uscire da questo lungo impasse e ottenere quelle condizioni indispensabili alla ripresa economica.