I bambini in fuga dalla guerra: è il tema su cui sono intervenuta questa mattina, nell’Aula del Senato, a sostegno della mozione della collega Senatrice Donella Mattesini, richiamando l’urgenza di attivare i corridoi umanitari perché le vittime più deboli del conflitto siriano possano raggiungere il sogno di una vita normale e pacifica in sicurezza. 700 minori morti in un anno nelle acque del Mediterraneo è un numero che conferma l’urgenza di provvedimenti non più rinviabili.
Di seguito il testo integrale del mio intervento, di cui è disponibile anche il video.
Presidente, onorevoli Senatrici e Senatori, rappresentanti del Governo,
Con convinzione ho sottoscritto la mozione della collega Senatrice Donella Mattesini, perché ritengo che l’attivazione di corridoi umanitari per minori e donne che fuggono da Paesi in guerra non sia più rinviabile. Non possiamo più tollerare le sistematiche violazioni dei diritti umani nei territori occupati da Isis e Boko Haram, costantemente denunciate su più fronti e che io stessa avevo rappresentato all’Aula, nel febbraio 2014, tratteggiando con numeri e dati le condizioni dei bambini siriani. In quei territori ci sono donne appartenenti a minoranze etniche e religiose che vengono rapite, violentate e vendute come schiave. Bambini sottratti con la forza alle loro famiglie, per essere indottrinati alla guerra o utilizzati come scudi umani. Bambine che subiscono destini indicibili. Contesti a dir poco allarmanti, che monitoriamo costantemente all’intero della Commissione Diritti Umani.
Secondo l’Unicef sono 5 milioni e 600 mila i bambini siriani presenti ancora nella propria nazione d’origine, devastata da una guerra che perdura dal 2011; mentre altri 2 milioni sono fuggiti nei Paesi confinanti. I bambini rappresentano, da soli, il 36% dei migranti in fuga.
Dati che confermano, ancora una volta, come la l’unica opzione sia quella di affrontare lunghi viaggi alla ricerca della pace e di vita normale. Una scelta obbligata, con risvolti particolarmente drammatici. Solo nel 2015 sono stati 700 i minori che hanno perso la vita nelle acque del Mediterraneo, nei viaggi della speranza; 80 di loro fuggivano dalla guerra in Siria. Il 3 ottobre 2013 ne morirono altrettanti, in un solo tragico episodio, avvenuto davanti alle coste di Lampedusa. E bene abbiamo fatto a ricordarlo, istituendo una Giornata commemorativa.
La foto di Aylan, il piccolo naufrago che giaceva senza vita sulla spiaggia di Bodrum, è diventata l’immagine-simbolo di un esodo disperato. Un’icona potente, capace di smuovere le coscienze di buona parte dell’Europa sul tema dell’accoglienza. Ora però, non dobbiamo, non possiamo consentire che quello stesso scatto fotografico diventi il manifesto della nostra impotenza.
Soltanto pochi giorni fa Amnesty International ha denunciato che le autorità turche da gennaio hanno iniziato a rimpatriare illegalmente migliaia di rifugiati siriani. Si tratta di uomini, donne (anche in gravidanza) e bambini. Notizie gravi, emerse alla vigilia delle prime espulsioni previste dall’accordo Ue-Ankara, entrato in vigore lunedì scorso e su cui l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e le principali Ong hanno espresso molte preoccupazioni. Sia per la mancata tutela verso i migranti, sia riguardo alla detenzione dei richiedenti asilo.
Accordo che è stato anche al centro dell’ultima audizione in Commissione Diritti Umani, del 6 aprile, con l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, che ha lasciato emergere una serie di criticità: in primis il rischio concreto che in Grecia – Paese che ha appena modificato la legislazione sulle richieste d’asilo – venga attuato un meccanismo di sommaria valutazione delle domande, che porti a una rapida dichiarazione di inammissibilità e quindi a una serie di trasferimenti forzati. Un dramma nel dramma, che richiama l’Italia a esprimersi in merito al contenuto dell’accordo. E noi parlamentari siamo chiamati a essere in prima linea rispetto a queste responsabilità.
Situazioni che meritano la massima attenzione, ma soprattutto risposte concrete. Rispetto ad altre realtà europee, il nostro Paese, pur con le criticità che conosciamo, ha sempre mostrato la propria volontà di accogliere, grazie alla vasta rete di servizi offerti dalle istituzioni, dalle organizzazioni e dalle associazioni che operano sui territori. Ma non basta. Secondo l’ultimo “Rapporto sull’accoglienza di migranti e rifugiati in Italia”, diffuso lo scorso ottobre dal Viminale, i minori stranieri non accompagnati accolti sul territorio nazionale sono stati 14.378, 5.434 dei quali risultano però irreperibili.
Numeri che disegnano una realtà inaccettabile, che va combattuta creando subito dei corridoi umanitari, perché almeno i minori, non possano più finire nelle mani di trafficanti di essere umani e della criminalità organizzata. Come sta facendo, da autentica apripista, la Comunità di Sant’Egidio, attraverso il progetto dedicato a donne, bambini, anziani e disabili che ha già condotto in Italia 97 profughi siriani e ne ha già annunciati altri 150 entro aprile.
La tratta degli esseri umani, fra i temi al centro del nostro impegno in Commissione Diritti umani, che a febbraio ha licenziato l’ultimo rapporto sui Centri di identificazione ed espulsione, riguarda molto da vicino anche le donne che fuggono dalle zone in cui imperversa Boko Haram: si pensi che secondo un rapporto dell’Organizzazione internazionale per le Migrazioni (Oim), negli ultimi 3 anni sono sbarcate in Italia quasi 7000 donne nigeriane, 5000 delle quali solo nel 2015. Fra queste ultime si contano circa un migliaio di minorenni. Giovani e giovanissime che nella maggior parte dei casi non sanno neppure a quali rischi vanno incontro, lasciando le loro terre, ingannate da false prospettive. Strappare questi corpi, queste anime alle organizzazioni criminali significa offrire un’accoglienza sicura, per dare loro una vera speranza di vita migliore. Va sottolineato che, rispetto alla situazione siriana, in Nigeria si registra un cambio di passo nel contrasto a Boko Haram, che ha portato alla liberazione di 11.600 ostaggi e all’attivazione di progetti di recupero e reinserimento per costoro.
In tal senso va anche la proposta di legge dell’onorevole Sandra Zampa, vicepresidente della Bicamerale Infanzia, in discussione alla Camera, che prevede fondi certi sull’accoglienza, per evitare che debbano essere soltanto i Comuni a farsene carico. Un provvedimento che pone anche più attenzione alla formazione, come pure ai percorsi di affido e supporto all’inserimento sociale. Molte buone pratiche si stanno attivando, ma non sono di sistema: persistono quindi le criticità nella fase di intercettazione del minore e di avviamento di percorsi di protezione.
Misure sempre più urgenti, che trovano complementarietà nelle linee guide del Piano nazionale per l’infanzia – lo abbiamo approvato nel gennaio scorso in Commissione Bicamerale – e nel Fondo contro la povertà minorile educativa, finanziato dall’ultima Legge di Stabilità e su cui, nell’incontro di martedì scorso presso la Biblioteca del Senato, ci siamo confrontati con Save the Children. Un evento in cui abbiamo condiviso ancor di più la necessità fare sinergia tra istituzioni e Ong per attivare percorsi di potenziamento educativo nei comuni e nei territori dove più forte è la presenza di minori stranieri di recente immigrazione. Perché l’accoglienza possa andare di pari passo con l’integrazione e, quindi, favorire l’inclusione sociale.
Per tutti questi motivi, sollecitiamo con forza il Governo, perché si impegni, a livello europeo e internazionale, per l’attivazione di corridoi umanitari e a garanzia di protezione dei minori, anche attraverso l’affido familiare, così come proposto nel dispositivo della mozione.