Lo sgombero del Castello di Miasino, a più di cinque anni dalla confisca, segna una vittoria importante per il nostro territorio. Indebitamente occupato dalla famiglia del boss della camorra Pasquale Galasso, cui era stato confiscato dalla Corte d’Appello di Napoli, continuava ad essere utilizzato “sine titulo” nonostante un’ordinanza di sgombero risalente al 2011, dalla società Castello di Miasino srl, nel cui Cda figurava un membro della famiglia Galasso, che presso la struttura organizzava feste e matrimoni.
Il 17 febbraio 2015 le forze dell’ordine, su impulso dell’Agenzia per i beni sequestrati e confiscati, hanno proceduto allo sgombero del Castello sanando così una situazione insostenibile. Una vicenda che tuttavia non può definirsi conclusa e che mi ha spinto a presentare un’interrogazione al Ministro dell’Interno, Angelino Alfano, per sottoporre due questioni fondanti della vicenda.
Una prima riguarda la possibilità di rendere il Castello di Miasino simbolo di impegno diretto ed efficace contro le organizzazioni criminali, un luogo, quindi, capace di trasformare presidi di malaffare e violenza in occasioni di riscatto civile, sociale e di sviluppo economico. Nell’interrogazione, inoltre, manifesto la necessità di sollecitare l’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati a lavorare nel più efficiente dei modi per garantire che l’iter di riutilizzo sociale del Castello si compia nel più breve tempo possibile, restituendolo definitivamente alla cittadinanza.
Come componente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni ho fin da subito sottolineato l’importanza di assegnare a scopi sociali i beni confiscati in via definitiva alle mafie, come pure di valutare che l’assegnazione alle organizzazioni no profit venga gestita da livelli istituzionali sovracomunali, evitando così che le Amministrazioni, specialmente se piccole, siano esposte all’intimidazione mafiosa o a situazioni incoerenti come quelle verificatesi a Miasino.
Un timore alimentato anche dal post pubblicato sulla home page del sito del Castello di Miasino, che alla luce del recente sgombero dà voce alla proprietà. “Castello di Miasino chiude non per nostro volere ma perché è sopraggiunta una volontà più forte della nostra voglia di lavorare e di dare felicità e serenità in quello che dovrebbe essere il giorno più bello della vita” e ancora “la nostra dignità nessuno ce la potrà mai togliere. Terremo fede ai nostri impegni aiutando e sostenendo moralmente nella ricerca di una nuova location, le coppie che dovevano festeggiare nei prossimi mesi il loro matrimonio nella struttura”.
Messaggio che non può passare inosservato. Tonio Dell’Olio, membro dell’ufficio di presidenza e responsabile del settore internazionale di Libera, subito ha sottolineato come la Regione Piemonte sia chiamata ad accogliere la sfida come una priorità, per fare in modo che “addetti, impiegati, fornitori non rimpiangano la mafia che dà da mangiare”.
Il Consiglio Regionale ha già approvato all’unanimità la mozione, presentata dal consigliere Regionale Domenico Rossi, che impegna la Giunta a mettere in campo tutte le azioni necessarie affinché si arrivi al riutilizzo sociale. Intanto, dagli assessori Aldo Reschigna e Antonella Parigi che da Torino è arrivata la conferma che partirà una richiesta ufficiale all’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati e sequestrati.
Un impegno per la legalità e la giustizia che proprio questa mattina, a Novara, ha trovato una nuova vittoria, con la richiesta di acquisizione, da parte del Comune di Novara, di un negozio sequestrato nel capoluogo nel 2009. Un esempio che auspico venga presto seguito anche per gli altri beni confiscati del territorio, come la torretta di Borgomanero.